domenica 22 febbraio 2015

“Il signor Bovary”, il fascino indiscreto della crudeltà



Può essere estremamente  scomodo appurare le motivazioni di un uomo, sondare cosa si nasconda dietro i suoi alibi, ma forse le maschere esistono per questo: per crollare sotto il proprio peso. Feroce come una rasoiata e intenso fino a mozzare il respiro, “Il signor Bovary” (Edizioni Intermezzi) conferma la vocazione di Paolo Zardi alla crudeltà che i lettori avevano già sperimentato in “Il giorno che diventammo umani”. Una crudeltà che non ha nulla a che fare con la tendenza masturbatoria propria di tanti scrittori che colpiscono per il puro piacere di dimostrare quanto si sentano abili nel colpire, ma che attinge alla carne e a quel grumo incongruo che sono le sensazioni, perché non si scaverà mai abbastanza a fondo in quello che un individuo prova e perché non esiste altro che questo inesorabile scavo. L’omologo dell’antieroina di Flaubert è estraneo alla sua stessa vita. Zardi fa ingoiare a chi legge il sapore dell’alienazione nelle nude sequenze di gesti, oggetti, luoghi che vampirizzano chi dovrebbe viverli, ma un’identità di plastica non può resistere all’impudenza del desiderio. E quanto più il protagonista si identifica nel ruolo che ha scelto (un quarantenne che oscilla tra convenienza, doppiezza e vanità) tanto più è consumato nell’adulterio dall’ansia di felicità. La facilità con cui le illusioni incendiano e muoiono si nutre di una caustica concretezza che coinvolge in ogni momento di questo lento precipitare nel nulla. Anche l’usurata metafora degli scacchi (lo scontro tra chi agisce e ciò che lo distrugge) assume un senso più autentico, perché la vicenda narrata è lo specchio in cui non si può fare ameno di osservare la propria immagine. Non occorre un gesto eclatante per essere schiacciati dalla fragilità: basta ricordarsi che il sangue continua a scorrere nelle vene, mentre la morte e il cinismo tessono le loro trame. Nel deserto che attende chi ha osato sognare di più, la voce narrante è dentro e fuori il percorso di dissoluzione: distanza e immedesimazione si equivalgono quando si cerca una via d’uscita per quelle “creature scricchiolanti e male assemblate” che sono le persone. “Il signor Bovary” rovescia il concetto di maieutica. Da sè, da quei corpi ingannevoli che sono le parole non proviene una consapevolezza salvifica, che conduca a rigenerarsi. E l’ultimo viaggio non prevede bussole né strade ben tracciate.

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