domenica 6 dicembre 2015

Notte Pasolini e la feroce bellezza di Salò



Avrebbe potuto essere girato un’ora fa. Le mostruosità che restano impresse sulla pelle dello spettatore sono frutto di un clima che attraversa ogni epoca: la reificazione di corpi e anime da parte di un potere mai pago di mostrare fin dove la sua violenza possa arrivare. Restaurato dalla Cineteca di Bologna, “Salò o le 120 giornate di Sodoma” è tornato a stordire con il suo feroce splendore a suggello di Notte Pasolini Atto III, il progetto che ha coinvolto le voci più vive della cultura salernitana. La proiezione presso il Cinema Apollo di Salerno è stata preceduta dalla presentazione di Alfonso Amendola, che ha ricordato come il “cattivo maestro” Pasolini sia oggi più che mai un interlocutore che chiarisca i meccanismi del disgusto e del declino in cui viviamo. Nell’intervento “Senza spargimento di sangue”, Elio Goka, senza trascurare la forzatura pedagogica da parte del potere che fa a pezzi il momento in cui si credono eterne le gioie infantili, ha evidenziato come il postumo di Salò sia Salò stesso, in quanto riflessione che contrappone la pornografia artistica a quella di consumo e disamina di come gli uomini siano micromacchine della macchina della sopraffazione, introiettandone la capacità distruttiva. Prendendo le mosse dalla pellicola di Fabrizio Laurenti, “Il corpo del duce”, che sottolinea il legame fisico tra gli Italiani e  il loro capo,  Davide Speranza ha osservato come nell’opera pasoliniana si distrugga il concetto stesso  di solidarietà, di coesione sociale e politica, nell’attacco al capitalismo colpevole di aver mutato in oggetti la cultura stessa. E la guerra combattuta appunto, senza spargimento di sangue, dalle nuove generazioni occidentali oggi mira a fagocitare il nostro tempo, a rendere gli individui controfigure in un copione deciso dall’alto. La lettura di “Se” di Kipling ha voluto esorcizzare l’horror vacui che si apre a ogni passo oggi come in passato. La perfomance di Antonio Grimaldi “Io e la mia croce” fa della morte di Pasolini un’imago vitae, la summa della sua consacrazione straniante alla libertà di pensiero. Di qui la nudità integrale, metafora di un approccio senza filtri né pregiudizi che era l’abito mentale dell’intellettuale. I rumori fuori scena dell’omicidio sembrano provenire da un altro mondo, un mondo oltre il quale si spinge già lo sguardo della vittima (ma sono gli assassini le vittime di una disumanizzazione che li rende pedine cieche) in un’aura cristologica che sublima il momento della fine e lo riscatta dal buio del vilipendio e  della brutalità. Le parole di Pasolini riecheggiano nelle tenebre prima che tutto inizi perchè bisogna opporsi all’ottenebramento della coscienza. Quando Grimaldi avanza a braccia aperte verso l’uscita della sala, comunica un messaggio di speranza e rinascita: svincolata dai ceppi in cui si costringe l’individuo, la mente non allineata invita a riscrivere il presente.
Salò ha l’implacabilità di un assioma. Chi esercita un’autorità non ammette dialettica, ma sempre e solo un’ottica verticistica che distingua chi schiaccia e chi è schiacciato. Distinzione a sua volta orribilmente ambigua, perché le vittime legittimano con la loro esistenza i potenti che abusano di loro in una malsana dipendenza incrociata. L’asfittica geometria delle figure che oscillano tra il controcampo e l’allineamento nella medesima inquadratura mostra come il veleno della sopraffazione avvinca ciò che dovrebbe essere inconciliabile e trova ennesima conferma, per citare un solo esempio, nello sposalizio grottesco tra i signori in vesti femminili e  i loro amanti. Il finale non è meno straniante. I due giovani che ballano al suono di una musica carezzevole hanno ormai incarnato l’annichilimento. E quando il buio dilaga nella mente, anche solo sognare un altrove diventa impossibile.

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