mercoledì 11 maggio 2016

“Grand’estate”, i sogni di Moscato tra bordelli e ironia



Cosa c’è di più onesto di due puttane che si consacrano all’italica progenie non solo sul suolo patrio, ma anche viaggiando alla volta di un bordello africano nella gloriosa era fascista? Il vero viaggio tuttavia non è la strada verso una meta, ma ciò che accade nella mente dei viaggiatori. Raffinato nella sua sconcezza (ma è il potere a essere sconcio a ogni latitudine) e sorprendentemente versatile nel rendere la musica un racconto e il racconto una sinfonia, “Grand’estate. Un delirio fantastorico, 1937/1960… ed oltre” è lo spettacolo scritto diretto e interpretato da Enzo Moscato (nel ruolo di Poppina) che ha riscosso grande successo alla Sala Pasolini di Salerno. Affiancato da Massimo Andrei, che domina la scena nel giocare con un’ironia malinconica e ha la paziente saggeza di chi sa tutto della follia umana, Moscato sceglie una narrazione dal basso che, nel beffarsi di ogni linearità, procede attraverso squarci, memorie, informazioni puntualmente disattese e libere associazioni mentali. Non si tratta naturalmente di puro gusto del divertissement. Alla logica monolitica propria del fascismo e di chiunque riduca il mondo a oppressi e oppressori, si contrappone una visione più che mai antiretorica e comicamente spietata degli eventi e delle relazioni. La devozione al mestiere di Lattarella, per cui la sifilide diventa una sorta di energia magica, la falsa sapienza di Asor Viola, gli incidenti di percorso quanto mai improbabili, l’amore anarchico, ma mai illogico per il canto che è desiderio, sogno, miseria,  indicano come al regista interessi fare a pezzi il senso comune, leggendo l’assurdo attraverso la prostituzione. I corpi non si fanno solo attraversare dalla carne, ma anche da manie, egoismi, cecità. Tutto avviene all’insegna della leggerezza e della nostalgia, ma il disimpegno possiede una sua forza non addomesticabile. E quando la vicenda approda agli anni Sessanta, in fondo è cambiato ben poco. La finta rispettabilità da una parte e le prostitute dall’altra, che sognano un domani diverso e magari, senza saperlo, tra piume e ombretti, lo incarnano già.

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