“Grand’estate”, i sogni di Moscato tra bordelli e ironia
Cosa c’è di più onesto di due puttane che si
consacrano all’italica progenie non solo sul suolo patrio, ma anche viaggiando
alla volta di un bordello africano nella gloriosa era fascista? Il vero viaggio
tuttavia non è la strada verso una meta, ma ciò che accade nella mente dei
viaggiatori. Raffinato nella sua sconcezza (ma è il potere a essere sconcio a
ogni latitudine) e sorprendentemente versatile nel rendere la musica un
racconto e il racconto una sinfonia, “Grand’estate. Un delirio fantastorico, 1937/1960… ed oltre” è lo spettacolo scritto
diretto e interpretato da Enzo Moscato (nel ruolo di Poppina) che ha riscosso
grande successo alla Sala Pasolini di Salerno. Affiancato da Massimo Andrei,
che domina la scena nel giocare con un’ironia malinconica e ha la paziente
saggeza di chi sa tutto della follia umana, Moscato sceglie una narrazione dal
basso che, nel beffarsi di ogni linearità, procede attraverso squarci, memorie,
informazioni puntualmente disattese e libere associazioni mentali. Non si
tratta naturalmente di puro gusto del divertissement. Alla logica monolitica
propria del fascismo e di chiunque riduca il mondo a oppressi e oppressori, si
contrappone una visione più che mai antiretorica e comicamente spietata degli
eventi e delle relazioni. La devozione al mestiere di Lattarella, per cui la
sifilide diventa una sorta di energia magica, la falsa sapienza di Asor Viola,
gli incidenti di percorso quanto mai improbabili, l’amore anarchico, ma mai
illogico per il canto che è desiderio, sogno, miseria, indicano come al regista interessi fare a
pezzi il senso comune, leggendo l’assurdo attraverso la prostituzione. I corpi
non si fanno solo attraversare dalla carne, ma anche da manie, egoismi, cecità.
Tutto avviene all’insegna della leggerezza e della nostalgia, ma il disimpegno
possiede una sua forza non addomesticabile. E quando la vicenda approda agli anni
Sessanta, in fondo è cambiato ben poco. La finta rispettabilità da una parte e
le prostitute dall’altra, che sognano un domani diverso e magari, senza
saperlo, tra piume e ombretti, lo incarnano già.
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