"Il cortile", l'amara bellezza della scena
Li si direbbe miserabili senza speranza, ma è
il tempo in cui vivono (viviamo) a essere senza via d’uscita. In scena alla
Sala Pasolini di Salerno il 13 maggio alle 21 e il giorno seguente alla Sala
Assoli di Napoli, “Il cortile” di Spiro
Scimone è uno dei copioni più sorprendenti degli ultimi anni. In una periferia
degradata tra vecchie motociclette e spazzatura, l’autore, Francesco Sframeli e
Gianluca Cesale agiscono sotto traccia, si nutrono di storie minime dimenticate
ai margini di ogni consesso sociale, inanellano frasi disconnesse dalla realtà
a cui basta un approccio basico alle cose, si perdono in un sogno o in una
curiosità che sembra azzerare tutto, si muovono senza sbagliare un colpo sul
sottile confine tra ironia e disperazione. Distanti dal ricatto
psicologico come dal virtuosismo sterile
di tanta drammaturgia contemporanea, gli artsti siciliani pongono al centro del
proprio percorso un’umanità colta nella sua essenza più profonda che, inquanto
tale, riduce in briciole sovrastrutture e deformazioni. Nel fermo-immagine del
cortile, Peppe, Tano e Uno, che non
hanno che se stessi e sono presi dai propri giochi (il gioco è il linguaggio della
scoperta e della fantasia, presenti proprio dove non le si concepirebbe mai) si
pongono al di sopra di logiche stantie in una condizione anomala agli occhi
degli allineati. Non ci sono appartenenze da rivendicare o geografie
dell’immaginario che permettano di
orientarsi nel labirinto della normalità. E se la comicità e lo spaesamento
diventano inseparabili, i personaggi non conoscono consolazioni, ma neppure
catene. La felicità è in un passato forse solo sognato. Eppure c’è più vita in
quell’angolo ingombro di rottami di quanto la si cerchi altrove.
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