sabato 30 dicembre 2017

“Il diario di Adamo ed Eva”, noie e delizie della convivenza



Davvero curioso, il nuovo essere dai capelli lunghi. Non solo parla in continuazione, rompendo la meravigliosa quiete dell’Eden, ma ha la bizzarra abitudine di usare i verbi al plurale. Carla Avarista rende omaggio al sottile umorismo di Marc Twain dirigendo  “Il diario di Adamo ed Eva”, applaudito presso il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno. La messinscena presenta pochi elementi essenziali, perché tutto è puntato sull’affiatamento dei protagonisti: frutti e fiori sparpagliati ovunque, una nuda struttura che funge da capanna, come nudo e visibile è il senso del possesso, l’altalena su cui appare la prima donna, cioè il primo sguardo vitale sul mondo. Se Ciro Girardi è estremamente attento a tratteggiare in ogni dettaglio l’ottusità di un Adamo a cui basta un ferreo egoismo (gli atti sospettosi, lo sguardo sorpreso e infastidito, i gesti scabri di chi non ha nessuna voglia di guardare oltre il proprio naso), Brunella Caputo, che connota con amore il suo personaggio, è un’Eva irresistibile, golosa della vita, pronta a dare nomi alle cose e dunque a rivelarne con fanciullesca gioia l’essenza. Al di là delle facili associazioni tra la Natura e lei, ciò che colpisce in Eva è la sua capacità di essere sistematicamente altro, non allineata, sempre disposta a smascherare pochezze e pregiudizi con  la sua sola curiosità. Pur imparando ad amare, Adamo resta distante dalla comprensione della realtà (i figli gli sembrano buffamente un’anomalia biologica), mentre la compagna, peccatrice nella dimensione cattolica, ma salvifica in quella umana, incarna l’amore tra la parte e il tutto prima ancora che tra due individui. E solo aprendosi all’altro, questo intruso che viene a dare un senso a ciò che non ne ha, si scopre quanto sia ridicolo sentirsi il padrone del proprio mondo.

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