“Il diario di Adamo ed Eva”, noie e delizie della convivenza
Davvero curioso, il nuovo
essere dai capelli lunghi. Non solo parla in continuazione, rompendo la
meravigliosa quiete dell’Eden, ma ha la bizzarra abitudine di usare i verbi al
plurale. Carla Avarista rende omaggio al sottile umorismo di Marc Twain dirigendo “Il diario di Adamo ed Eva”, applaudito
presso il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno. La messinscena presenta pochi
elementi essenziali, perché tutto è puntato sull’affiatamento dei protagonisti:
frutti e fiori sparpagliati ovunque, una nuda struttura che funge da capanna,
come nudo e visibile è il senso del possesso, l’altalena su cui appare la prima
donna, cioè il primo sguardo vitale sul mondo. Se Ciro Girardi è estremamente
attento a tratteggiare in ogni dettaglio l’ottusità di un Adamo a cui basta un
ferreo egoismo (gli atti sospettosi, lo sguardo sorpreso e infastidito, i gesti
scabri di chi non ha nessuna voglia di guardare oltre il proprio naso),
Brunella Caputo, che connota con amore il suo personaggio, è un’Eva
irresistibile, golosa della vita, pronta a dare nomi alle cose e dunque a
rivelarne con fanciullesca gioia l’essenza. Al di là delle facili associazioni
tra la Natura e lei, ciò che colpisce in Eva è la sua capacità di essere sistematicamente
altro, non allineata, sempre disposta a smascherare pochezze e pregiudizi
con la sua sola curiosità. Pur imparando
ad amare, Adamo resta distante dalla comprensione della realtà (i figli gli
sembrano buffamente un’anomalia biologica), mentre la compagna, peccatrice
nella dimensione cattolica, ma salvifica in quella umana, incarna l’amore tra
la parte e il tutto prima ancora che tra due individui. E solo aprendosi all’altro,
questo intruso che viene a dare un senso a ciò che non ne ha, si scopre quanto
sia ridicolo sentirsi il padrone del proprio mondo.
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