Le parole di sabbia di Vittorio Sgarbi
La misteriosa sensualità dell’Allegoria
della Notte e la sospensione del Pensieroso,
ovvero la statua del Magnifico, frutti del genio michelangiolesco; la grazia di
Raffaello nello “Sposalizio della Vergine”; la potenza di Dante; le suggestioni
di Listz, che fa respirare nelle sue composizioni la forza dei capolavori
italiani. Ha guardato allo strettissimo legame tra arte e musica il “Discorso a
due” condotto da Vittorio Sgarbi e dal pianista Nazzareno Carusi presso il
Teatro Verdi di Salerno. L’armonia inquieta che in Michelangelo nasce dal
conflitto volutamente irrisolto tra fragilità e persistenza del segno, come la
tensione del Canto quinto dell’Inferno avrebbero richiesto una dissertazione
capace di sedurre anche le pietre, ma si dà il caso che la sbandierata abilità
dialettica di Sgarbi si sia risolta in un vuoto gioco di prestigio, un’interpretazione
delle opere proposte che ha simulato profondità per poi arrestarsi ben prima di
quello che un buon manuale avrebbe potuto illustrare. Quelle del critico sono
state parole di sabbia, pronte a essere disperse da un ascolto che cercasse
qualcosa di più di un epidermico
approccio. Il colpo di grazia è stato inferto nel momento in cui l’”illustre” ospite
ha preteso di declamare il Canto di Paolo e Francesca. Il coinvolgimento emotivo
che attraversa la narrazione è scomparso sotto l’opprimente monotonia di un’esposizione
dovuta a insopportabile vanità. Chiunque può amare quel mistero generoso che è
l’arte, ma un parvenu che dà spettacolo di se stesso non conduce a questa meta,
anche se applaudito da un pubblico cieco.
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