giovedì 8 febbraio 2018

“Smith & Wesson”, l’ostinazione dei sogni

Raccogliere cadaveri dalle acque non è certo un lavoro per mammole. Ipotizzare le future condizioni climatiche attraverso i racconti di chiunque non è da meno. Ma nulla vale la forza e il bisogno di raccontare storie. Tratto dall’omonima piece di Alessandro Baricco, “Smith & Wesson” è lo spettacolo applaudito al Piccolo Teatro del Giullare di Salerno. Brunella Caputo dirige il cast all’insegna di un perfetto senso del ritmo e di un’ ironia che sa diventare nostalgia senza alcuna retorica, mentre le luci e le musiche di Virna Prescenzo assecondano con amorosa attenzione le fasi salienti della vicenda. Smith è un metereologo decisamente fuori dal comune, un mix di genialità e stravaganza perfettamente creato da Andrea Bloise, autore anche della grafica,  mentre Wesson difende con orgoglio il suo ruolo di conoscitore perfetto del fiume (il ruvido e lapidario Renato Del Mastro che suscita subito empatia nel pubblico). La svolta della loro curiosa sintonia è segnata da Rachel (la spumeggiante Teresa Di Florio), giornalista così ossessionata dall’idea di uno scoop da decidere di ottenere gloria e quattrini con l’aiuto dei due uomini, spinti a farla uscire viva da una botte lanciata nelle cascate del Niagara. L’esito sarà tragico, come narra la signora Higgins (la sensibile Cinzia Ugatti) in cui non è difficile leggere un’immagine del destino, dato che li ha fatti incontrare. Il ricordo però sa indispettire la morte. La strana coppia vivrà tutte le esperienze che Rachel sognava. I due diverranno storie viventi in cui realizzare i desideri di chi non c’è più. Ecco allora che la bizzarria dei personaggi non è fine a se stessa, ma tentativo di lasciare un segno, fiducia nell’immaginario lontano da condizionamenti incarnati da padri ingombranti. Se le cascate del Niagara sono luogo di morte, dato il tasso di suicidi, bisogna ripartire da lì, dove il senso stesso del vivere si smarrisce. Ogni narrazione, come ogni esistenza, nasce dall’intreccio di più voci e da diverse ansie di vincere il tempo. Per chi lo dimentica, come ricorda la signora Higgins, “la saggezza è un rito inutile”.


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