martedì 27 febbraio 2018

“Hallo! I’m jacket !”, la performance e il vuoto di senso



“Fate spazio alla meraviglia”, esorta la dolce voce femminile nel presentare i due buffi uomini in costume da bagno. E si resta difatti strabiliati dinanzi alle prodezze di queste “cavie dell’accadimento”, che giocano senza sosta con il proprio corpo nel Festival internazionale della performance. Eppure, dietro quell’allegria compulsiva c’è il buio più inquietante. “Hallo! I’m jacket !” della compagnia Dimitri Canessa ha raccolto calorosi consensi presso il Centro Sociale di Salerno nell’ambito di Mutaverso Teatro, il progetto di Vincenzo Albano. Tra parrucche, accappatoi, imitazioni, un armadio da cui entrare e uscire con la rapidità del fulmine, spaziando dal cinema muto alla televisione spazzatura, all’avanspettacolo con tanto di citazione di “2001 Odissea nello spazio”, i due profondono ogni energia in un’implacabile desacralizzazione di tutto ciò che sia spettacolo, naturalmente senza risparmiare se stessi. Un esempio si ha nel reportage in stile Alberto Angela, dove il pubblico è una pletora di cariatidi e là dove soffiano venti critici (ovvero la pretesa degli esperti di fustigare ogni passo dell’attore) “l’ombra dell’uomo nuovo” è parola distorta, deformata, incapace di tradursi in qualcosa di concreto. Non serve a niente tornare alle origini del palcoscenico (il telo trasparente come liquido amniotico in cui rivenire tracce di antichi capolavori) né spingersi oltre tutte le possibili scelte del teatro contemporaneo, mugghiando come un curioso animale. Smarrito ogni senso e ogni centro, assediato dal vuoto assordante di ogni forma comunicativa, l’artista non può che mutarsi in clown delirante, specchio dell’analfabetismo creativo ed emotivo di un’epoca indifferente a tutto ciò che non sia sterile intrattenimento. L’intervista al vincitore del Festival piazzando il microfono all’altezza del pube, la colonna sonora de “Il tempo delle mele” durante il salvataggio del compagno caduto dal palco, la spettatrice per il gioco di turno che è in realtà uno dei due performer sono altrettanti colpi alla stupidità di quel che anestetizza gli spettatori. Non resta che l’angosciosa voce della giacca degli interpreti, che non sa definire ciò a cui assiste e vorrebbe solo abbandonarsi a sogni diventati impossibili, mentre sullo sfondo si stagliano aggraziati movimenti di danza,a dimostrazione di come neanche il corpo possa essere più di un’ombra di se stesso. Il caos dilagante del palco non è sufficiente a esorcizzare il disagio: il silenzio del nulla pesa più di qualsiasi diversivo.

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