“Hallo! I’m jacket !”, la performance e il vuoto di senso
“Fate spazio alla meraviglia”, esorta la
dolce voce femminile nel presentare i due buffi uomini in costume da bagno. E
si resta difatti strabiliati dinanzi alle prodezze di queste “cavie
dell’accadimento”, che giocano senza sosta con il proprio corpo nel Festival
internazionale della performance. Eppure, dietro quell’allegria compulsiva c’è il
buio più inquietante. “Hallo! I’m jacket !” della compagnia Dimitri Canessa ha
raccolto calorosi consensi presso il Centro Sociale di Salerno nell’ambito di
Mutaverso Teatro, il progetto di Vincenzo Albano. Tra parrucche, accappatoi, imitazioni,
un armadio da cui entrare e uscire con la rapidità del fulmine, spaziando dal
cinema muto alla televisione spazzatura, all’avanspettacolo con tanto di
citazione di “2001 Odissea nello spazio”, i due profondono ogni energia in
un’implacabile desacralizzazione di tutto ciò che sia spettacolo, naturalmente
senza risparmiare se stessi. Un esempio si ha nel reportage in stile Alberto
Angela, dove il pubblico è una pletora di cariatidi e là dove soffiano venti
critici (ovvero la pretesa degli esperti di fustigare ogni passo dell’attore)
“l’ombra dell’uomo nuovo” è parola distorta, deformata, incapace di tradursi in
qualcosa di concreto. Non serve a niente tornare alle origini del palcoscenico
(il telo trasparente come liquido amniotico in cui rivenire tracce di antichi
capolavori) né spingersi oltre tutte le possibili scelte del teatro
contemporaneo, mugghiando come un curioso animale. Smarrito ogni senso e ogni
centro, assediato dal vuoto assordante di ogni forma comunicativa, l’artista
non può che mutarsi in clown delirante, specchio dell’analfabetismo creativo ed
emotivo di un’epoca indifferente a tutto ciò che non sia sterile
intrattenimento. L’intervista al vincitore del Festival piazzando il microfono
all’altezza del pube, la colonna sonora de “Il tempo delle mele” durante il
salvataggio del compagno caduto dal palco, la spettatrice per il gioco di turno
che è in realtà uno dei due performer sono altrettanti colpi alla stupidità di
quel che anestetizza gli spettatori. Non resta che l’angosciosa voce della
giacca degli interpreti, che non sa definire ciò a cui assiste e vorrebbe solo
abbandonarsi a sogni diventati impossibili, mentre sullo sfondo si stagliano
aggraziati movimenti di danza,a dimostrazione di come neanche il corpo possa
essere più di un’ombra di se stesso. Il caos dilagante del palco non è
sufficiente a esorcizzare il disagio: il silenzio del nulla pesa più di
qualsiasi diversivo.
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