venerdì 9 luglio 2021

“L'arte del selfie nel Medioevo” , l'audacia di Dante

 

“Il pigiamone rosso”, “l'erba in testa”, “la cuffia da notte” : è così che tutti immaginano Dante. È altrettanto facile pensare ad Adamo come a un “maschio bianco italico” a causa degli “stereotipi derivanti dalla superficialità della nostra epoca”. Per fortuna c'è tutto un universo da scoprire ben oltre Il comodo senso comune. Penultimo appuntamento di Mutaverso, il progetto targato Erre Teatro di Vincenzo Albano, “L'arte del selfie nel Medioevo”, proposto alla Fondazione Ebris, ha visto protagonista un carismatico Giovanni Succi, che ha scelto il disincanto e un’ironica concretezza per restituire a se stesso il Sommo Poeta. Attraverso il linguaggio dei nostri giorni, in uno spettacolo che sembra procedere a braccio, ma possiede al contrario una sua coerenza, l'artista invita il pubblico a percorrere a passi leggeri la distanza che lo separa da quel “precursore del cinema” e “padre del copyright con slogan immortali” che è l'autore della Commedia. Chitarra e voce calda, Succi prende le mosse da “Tanto gentile e tanto onesta pare” per mostrare come la lirica si basi su un assunto per nulla scontato in un contesto medievale : la bontà dell'essere femminile. Nel disegno di perfezione assoluta voluto da Dio e che prevede una netta separazione tra spirituale e materiale, lo stesso Francesco, che loda ogni tipo di creatura, non prende minimamente in considerazione nel suo Cantico la donna. È del resto colpa di quella “pupazza multitasking” desiderosa di conoscenza se Adamo (in contatto telepatico con Dio “come in cloud”) perde quel “sistema di assistenzialismo perfetto” che è il Paradiso. È tuttavia impossibile non confrontarsi col desiderio in ogni forma. Quando Dante spiega con termini scientifici gli effetti dell'amore (a cui rimanda il verde, il colore della rinascita primaverile, e non il rosso, che esprime eminenza), quest'ultimo indica “un'emanazione della razionalità del Creatore” ed è distante anni luce dal trito sentimentalismo a cui siamo abituati. È bene inoltre ricordare che, nel sonetto, “la donna mia è colei che mi domina, non colei che io posseggo” in fertile dialogo con la cultura cortese. Sono però le rime petrose a rivelare un autore dalla sorprendente personalità. “Io son venuto al punto da la rota” è davvero un selfie ante litteram : l'uso del pronome personale di prima persona, in un tempo che non accoglie l'individualismo, è consapevolezza di quanto la propria umanità meriti di essere posta al centro dell'esperienza, così che la narrazione conquisti un nuovo spessore nel misurarsi con l'esistente. In questa canzone compaiono precise condizioni meteorologiche, l'unica immagine rimastaci di una pozzanghera medievale, la teoria per cui l'acqua che sgorga in montagna subisce la pressione verso l'alto di vapori racchiusi nella terra, l'energia amorosa che ricrea la vita nella natura, ma che sa anche  ferire meglio di un sicario. È questa forza a dominare “Così nel mio parlar voglio esser aspro” in cui “dopo il successo pop, abbiamo gli slang del 1200”:  qui l'ardore amoroso è proprio quel cane venuto dall'inferno di cui scrive Bukowski. Nella lotta impari con Amore, “o malament”, Dante ricorre a termini militari. A conferma di come non sia mai stato il “vecchio sfigato”che molti credono, ha combattuto nell'avanguardia dei feditori, sopravvivendo a una delle più feroci battaglie medievali, quella di Campaldino, tra una cotta del peso di trenta chili e gli Aretini che tagliavano la pancia ai cavalli per sopraffare l'avversario. È l'unico al mondo ad aver creato un poema attorno a se stesso, senza essere santo né eroe: gli onanisti del selfie dovrebbero davvero imparare qualcosa da chi si espone con tanto coraggio.

 


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