lunedì 25 febbraio 2013

Identità, ovvero l’eterno inganno

 “Ma siamo dentro o fuori?” “Fa lo stesso.” “Siamo dall'altra parte.” Può essere davvero impossibile capire la direzione e il senso stesso dei propri comportamenti, quando si oscilla continuamente tra le illusioni e una concretezza che pare a sua volta ingannevole. Nella perfetta messinscena de “Il posto delle patate” di Georges Pèrec, curata dalla Compagnia Macroritmi diretta da Rosi Giordano presso l’Auditorium Sant’Apollonia a Salerno, la propria interiorità è un approdo sfuggente. Lo spettacolo, nell’ambito della rassegna Out of Bounds, mostra cinque figure, inchiodate a un insensato rituale (strofinare e spostare patate), che cercano di capire chi siano, intrecciando ricordi in storie che non fanno chiarezza. Chi narra vuole imporre la propria fittizia personalità, attirando il rancore dei compagni costretti a fargli da comprimari. Ci si può consacrare generosamente alla narrazione (Monica Maroncelli), si può opporre il proprio candore all’assurdo (Maria Enrica Prignani), osservare tutto con spirito critico (Marco Giustini), essere consapevoli del limite (Maria Teresa Di Clemente), avvertire una sospettosa amarezza (Adriano Rosani), ma il tentativo di ritrovarsi fallisce e si ritorna al punto di partenza. Anche la scelta di un copione in cui tutto sia finalmente definito (l’Amleto, dove la finzione è un modo per arrivare alla verità) non giova a lasciarsi alle spalle l’indecifrabile. Le patate sono l’unico oggetto su cui non ci sono dubbi, ma l’assodato può essere una trappola peggiore dell’ambiguità, come mostrano cappelli, ombrelli, abiti, bricchi, scarpe accatastati sullo sfondo: definire significa morire. Non resta davvero altra via che tendere a ciò che non si lascia cogliere. Si replica il 28 febbraio alle 21 alla Casa delle Culture a Roma.

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