giovedì 11 luglio 2013

Marina Abramovic, quando il corpo diventa arte



Il lavoro di Marina Abramovic si può definire come una spiazzante drammatizzazione del corpo. Attraverso la sua persona, l’artista montenegrina rivela le dinamiche sotterranee di un contesto, costringe chi l’osserva a far parte di un processo iniziatico in cui il rimosso, le pulsioni scomode, le esigenze taciute ritrovano vita. Nel film di Matthew Akers  “Marina Abramovic. The artist is present”, proiettato alla Galleria Verrengia di Salerno al 54° appuntamento con il progetto di Stefania Zuliani “Arte di sera”, nell’ambito dell’iniziativa della Fondazione Menna Extra Moenia, dove si narra il il backstage della retrospettiva dedicatale nel 2010 presso il Moma, la protagonista rimane su una sedia osservando silenziosamente i visitatori seduti uno alla volta dinanzi a lei per ben 716 ore. Al grado zero dell’azione, il corpo diventa palcoscenico del suo spettatore, lo accoglie in una dimensione fuori dal tempo, inducendolo a riconoscersi nella donna che pazientemente lo pone al centro di tutto, percependo senza filtri il potenziale espressivo di un dialogo muto. I confini tra dentro e fuori, tra oggetto e soggetto tendono lentamente ad assottigliarsi. E in quel silenzio la soggettività non è forse mai stata così libera.

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