"Esercito d'amore", una lotta chiamata desiderio
In
uno schieramento serrato, sposi e spose avanzano lentamente, la mano sul cuore,
verso un’invisibile linea del fuoco, per poi disperdersi, teneri e sospesi,
sulle note di “Besame mucho”. Elogio del romanticismo? Niente di più sbagliato.
È una lotta senza quartiere “Esercito d’amore”, che il regista Antonio Grimaldi
ha proposto all’arena Ghirelli di Salerno nell’ambito della rassegna “La
fornace del Teatro”. Nella performance dedicata “alle vene e alle ossa del
corpo, a Pina Bausch e a Marta Graham”, gli interpreti rappresentano l’elemento
perturbatore, la forza che ha intima necessità di sprigionarsi attraverso un
coinvolgimento totale dell’anima e del corpo. Prendono possesso della scena
attraverso un linguaggio che esprime consacrazione (i gesti che mimano il testo
di “The man i love”) e rottura (lo schiaffo a uno sposo che sembra riverberarsi
su tutti gli altri), per far confluire in se stessi gli opposti e farli
esplodere, divendeno così rifugio e via di fuga di tutte le tensioni possibili.
Il corale protendersi verso gli spettatori, direttamente convolti nella danza o
anche solo abbracciati come compagni di viaggio, il bisogno di assediare lo
spazio come a ricordare che non esiste nulla di definitivo, se non l’eterna
tensione verso l’altrove, spingono gli sposi a fare dolce violenza a una
percezione assopita. I testi di Alfonso Tramontano Guerritore, che figura anche
tra gli attori, raccontano l’anarchia del desiderio (“Questo è il sangue…Era
nei baci e sarà ovunque nei pensieri”) che è tentativo ostinato di forzare atti
e coscienze, di aprire nuove possibilità. Ecco allora che morte e vita
diventano i due momenti dello stesso percorso, come mostra la resurrezione dei
due sposi coperti di terra e acqua che si destano felici, come a prendersi
gioco del concetto stesso di fine. Non esiste tuttavia desiderio che abbia la
strada spianata: i protagonisti sono raggelati dal suono di una sirena,
bloccati da una forza che impedisce loro di avanzare, costretti a muoversi in
un insensato andirivieni cme se un carcere invisibile li avesse di colpo
inghiottiti e spinti disperatamente gli uni nelle braccia degli altri. La scena
(cioè il mondo) non si lascia conquistare facilmente da una libertà così
accecante. E quando si ammassano prostrati, all’apparenza sconfitti, gli sposi
sanno, malgrado tutto, che l’unica fede è nei loro corpi così impudicamente
innocenti, pronti sempre a divenire, ma non a essere.
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