martedì 3 settembre 2013

"Esercito d'amore", una lotta chiamata desiderio



In uno schieramento serrato, sposi e spose avanzano lentamente, la mano sul cuore, verso un’invisibile linea del fuoco, per poi disperdersi, teneri e sospesi, sulle note di “Besame mucho”. Elogio del romanticismo? Niente di più sbagliato. È una lotta senza quartiere “Esercito d’amore”, che il regista Antonio Grimaldi ha proposto all’arena Ghirelli di Salerno nell’ambito della rassegna “La fornace del Teatro”. Nella performance dedicata “alle vene e alle ossa del corpo, a Pina Bausch e a Marta Graham”, gli interpreti rappresentano l’elemento perturbatore, la forza che ha intima necessità di sprigionarsi attraverso un coinvolgimento totale dell’anima e del corpo. Prendono possesso della scena attraverso un linguaggio che esprime consacrazione (i gesti che mimano il testo di “The man i love”) e rottura (lo schiaffo a uno sposo che sembra riverberarsi su tutti gli altri), per far confluire in se stessi gli opposti e farli esplodere, divendeno così rifugio e via di fuga di tutte le tensioni possibili. Il corale protendersi verso gli spettatori, direttamente convolti nella danza o anche solo abbracciati come compagni di viaggio, il bisogno di assediare lo spazio come a ricordare che non esiste nulla di definitivo, se non l’eterna tensione verso l’altrove, spingono gli sposi a fare dolce violenza a una percezione assopita. I testi di Alfonso Tramontano Guerritore, che figura anche tra gli attori, raccontano l’anarchia del desiderio (“Questo è il sangue…Era nei baci e sarà ovunque nei pensieri”) che è tentativo ostinato di forzare atti e coscienze, di aprire nuove possibilità. Ecco allora che morte e vita diventano i due momenti dello stesso percorso, come mostra la resurrezione dei due sposi coperti di terra e acqua che si destano felici, come a prendersi gioco del concetto stesso di fine. Non esiste tuttavia desiderio che abbia la strada spianata: i protagonisti sono raggelati dal suono di una sirena, bloccati da una forza che impedisce loro di avanzare, costretti a muoversi in un insensato andirivieni cme se un carcere invisibile li avesse di colpo inghiottiti e spinti disperatamente gli uni nelle braccia degli altri. La scena (cioè il mondo) non si lascia conquistare facilmente da una libertà così accecante. E quando si ammassano prostrati, all’apparenza sconfitti, gli sposi sanno, malgrado tutto, che l’unica fede è nei loro corpi così impudicamente innocenti, pronti sempre a divenire, ma non a essere.

Nessun commento:

Posta un commento