domenica 15 dicembre 2013

Una strepitosa Gea Martire in “Mulignane



C’è poco da fare. “Un uomo che ti cerca e che ti pensa t’arravota sana sana”. Ma il prezzo per avere anche solo un briciolo della sua attenzione –e quindi esistere-  può essere davvero salato. Del tutto a suo agio con il surreale del quotidiano, Gea Martire ha strappato molti applausi a scena aperta alla platea del Piccolo Teatro del Giullare di Salerno con “Mulignane”, lo spettacolo tratto da un racconto di Francesca Prisco e diretto da Antonio Capuano. L’esilarante percorso da larva a bomba sexy, ovvero da vittima delle circostanze a donna consapevole della propria forza, sa trasformare una crudeltà sadica in occasione di divertimento grazie al carisma dell’interprete, abilissima nel dar corpo e voce a un “brutto anatroccolo” e agli altri personaggi che pretendono di conoscere, giudicare, colpevolizzare, compatire, quando in realtà ne condividono fino al parossismo gli aspetti grotteschi. Non è un caso che all’accensione delle luci, in una scena essenziale (abiti appesi sullo sfondo, un sedile al centro del palco), appaia di spalle in un atteggiamento dimesso, come se non importasse poi tanto guardare il suo viso (e la sua anima), così come non è casuale che lavori in un’agenzia pubblicitaria, dove l’apparenza è tutto e una scollatura generosa vale più di ogni professionalità. Mica facile sopravvivere al peccato più orrendo, la condizione di zitella. Attraverso una caustica esasperazione della mimica (i movimenti di un robot impacciato, la difficoltà nel mettere a fuoco, il rapporto contraddittorio con i propri desideri), la protagonista diviene cartina di tornasole della cattiva coscienza di chi si sente perfettamente integrato in un sistema di relazioni di cui è “indegna”: basterebbe pensare all’ingombramte madre, finalmente cacciata di casa mentre si appropria del più grosso dei vibratori gelosamente custoditi dalla figlia. Trasformarsi da “pietra grezza” in “diamante” provoca l’allontanamento del brutale amante che le regala le mulignane, ovvero i lividi, del titolo, insofferente della sua rinascita. Lo spettatore percepisce però l’aspetto disturbante di questo trionfo. Il mondo appartiene ai dominatori, a chi sa schiacciare gli altri sotto il proprio ego. Che questo sia dimostrato con una vis comica fuori dal comune non toglie nulla a un teorema inquietante. (foto di Adele Filomena)

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