venerdì 28 marzo 2014

Al Giullare “N’hanno fatto crerere paravisi”



Lo scenario non potrebbe essere meno incoraggiante. Non resta più nulla della cosiddetta civiltà, nulla delle convenzioni su cui gli uomini hanno basato la loro vita. Eppure proprio in questo vuoto di senso si impone la necessità di rifondare la memoria e il futuro. “N’hanno fatto crerere paravisi” è lo spettacolo, di scena stasera alle 21 al Piccolo Teatro del Giullare di Salerno, che vede la giovane salernitana Maria Scorza nel duplice ruolo di drammaturga e interprete. Il cast comprende Michele Di Stio e Andrea Paolotti, che firma anche la regia. L’appuntamento rientra nell’iniziativa “Tra scrittura e performance” ideata da Vincenzo Albano, direttore artistico di Erre Teatro e già ideatore del progetto Teatrografie 2013 dedicato alla scrittura di Francesco Silvestri (è in fase di studio il secondo appuntamento), in collaborazione con Formiche di vetro teatro e Danad associazione culturale (Associazione Diplomati Accademia Nazionale d’Arte Drammatica). Dopo il debutto di Luca Trezza con “Www.testamento.eacapo”, con cui Formiche di vetro ed Erre Teatro parteciperanno al Festival Le voci dell’anima ( la prima tappa è prevista a Gioia del Colle, al Teatro Rossini il giorno 8 aprile) e al Torino Fringe Festival nei primi giorni del mese di maggio, “N’hanno fatto crerere paravisi” attinge all’immaginario della classicità per concretizzare l’eterno contrasto tra rigenerazione e distruzione. In un desolato paese di montagna, ad Asteria non resta che una pagnotta indurita a cui riserva un vero e proprio culto, a monito dei danni che egoismo e sopraffazione hanno portato alla società. Al suo fianco ci sono la nipote Demetra e un giovane che arriva dalla città, Glauco. Il loro intento è quello di ricostruire una civiltà nei pressi di un fiume (che sembra possedere a tutti gli effetti le caratteristiche di un essere vivente), ma devono difendere i propri sforzi da Leto e dal Soldato, che mirano a sfruttarli per poi disfarsi di loro. Attraverso le suggestioni del dialetto cilentano e una simbologia che non opprime, ma rende ariosa la messinscena, Maria Scorza si orienta verso la radice dell’atto teatrale: una commistione di forze che getti uno sguardo non vincolato al contesto che lo ha prodotto e al tempo stesso si faccia baluardo delle ragioni di una umanità che ha più che mai l’esigenza di ritrovare se stessa, anche a costo di guardare fino in fondo nell’abisso. È terribilmente facile creare ovunque il deserto; ricostruire a dispetto di ogni ostacolo è un atto di folle amore.

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