mercoledì 2 aprile 2014

Applausi a Salerno per “N’hanno fatto crerere paravisi”



Termini dialettali che hanno il fascino di formule magiche. Nessun diaframma tra essere umano e paesaggio. Una salda fiducia nella capacità di costruire propria delle mani e del linguaggio in quel continuo oscillare tra disperazione e speranza che è la vita, anche se non c’è posto per le illusioni. Ha convinto del tutto la platea del Piccolo Teatro del Giullare “N’hanno fatto crerere paravisi”, lo spettacolo diretto e interpretato da Andrea Paolotti, che ha recitato insieme a Michele Di Stio e Maria Scorza, autrice della drammaturgia. La messinscena è avvenuta nell’ambito dell’iniziativa “Tra scrittura e performance” ideata da Vincenzo Albano, direttore artistico di Erre Teatro e già ideatore del progetto Teatrografie 2013. In quella che si presenta a tutti gli effetti come una fiaba, il titolo allude ai miraggi di un egoismo senz’altra prospettiva che se stesso che ha progressivamente distrutto il mondo, ripiombando tutto e tutti in un contesto primitivo, si potrebbe dire pre-logico. Nei momenti cruciali i personaggi emergono come fotogrammi nel buio attraverso una parete divisoria trasparente, come se la loro individualità dovesse lottare per imporsi sull’oblio che rischia a ogni passo di inghiottirli. Asteria (un Michele Di Stio che affascina perché costruisce nei minimi dettagli la credibilità del personaggio) è una donna che strappa alla terra i suoi frutti grazie alla nipote Demetra (la stessa Scorza, che interpreta anche la scaltra Leto) e Glauco (Paolotti, che esprime tutta la fresca esuberanza della gioventù e la sfrontatezza del Soldato che tenta continuamente di depredarli). La pagnotta venerata da Asteria rimanda a un’era pagana, lontana dalle trappole della modernità. Poiché però il bisogno di sopraffare riemerge ciclicamente, la vecchia si scopre nemica della più naturale delle forze, l’amore, perché tutta protesa verso l’esigenza di accumulare. Si assottiglia dunque la differenza rispetto a Leto, che pretende di leggere il futuro nelle carte ma è efficacemente mostrata come una figura dalla vista incerta, perché concentrata solo su di sé. E quando i perosnaggi in lotta saranno travolti dal fiume, simbolo della forza cieca e irresistibile della natura, rimarrà Demetra a fare del racconto la base per costruire il futuro. In questo elogio dell’oralità e della concretezza, non c’è posto per la retorica o il buonismo. La parola, madre e figlia del pensiero e delle arti, genererà di nuovo la luce dove rabbia e rapacità hanno portato le tenebre.

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