domenica 15 marzo 2015

Il “Casanova” dolente e ironico di Roberto Herlitzka



“Aprite!”. La voce riecheggia a sipario chiuso e tutta la pièce sarà un tentativo di evadere: dal peso del passato, dall’ostilità degli uomini, dal desiderio che sovverte e allontana dal raziocinio, ma non si sfugge alla mente e ai suoi inganni. Il “Casanova” di Ruggero Cappuccio diretto da Nadia Baldi, in scena al Teatro Verdi di Salerno fino a domenica 15 marzo, è la storia di un uomo che scopre nella prigione fisica (il castello del Conte di Waldstein in Boemia) una prigionia mentale a cui può opporre solo la fedeltà a se stesso. Roberto Herlitzka, nel restituire al celebre libertino un’autenticità dolente e ironica che dissove qualunque diaframma col pubblico, agisce in uno spazio privo di specifiche connotazioni dove, tra ampi tendaggi, l’ambito atemporale si presta a una resa dei conti in cui ogni uomo potrebbe riconoscersi. Le cinque donne al suo fianco (Franca Abategiovanni, Carmen Barbieri, Giulia Odori, Rossella Pugliese, Marina Sorrenti), marionette dai movimenti meccanici che prendono progressivamente vita, sono gli specchi in cui il gentiluomo è costretto con riluttanza e poi con passione a riconoscersi. Da oggetti divengono soggetti, si lasciano forgiare dai suoi stati d’animo per poi divenire giudici inesorabili come sempre accade nel gioco tra sedotto e seduttore. Ricostruiscono con lui eventi cruciali della sua vita (la fuga da Piombi, il duello in Polonia, le relazioni amorose) spargendo fogli sul palco, perché la memoria è un mosaico i cui frammenti si frantumano e si ricompongono con la facilità con cui quel che è sepolto risorge. Si ergono come su di un piedistallo, quasi colonne d’Ercole in cui racchiudere il suo mmaginario, lo cavalcano come nel più impudico degli amplessi o avvertono nella propria carne le sue frustrazioni o i suoi entusiasmi, complici e persecutrici al tempo stesso. Materializzano aspirazioni e tormenti e lo conducono a difendere quell’insaziabile voglia di vivere che lo ha portato ad attraversare corpi, esperienze, miseria e grandezza, la stessa voglia che lo ha spinto a essere uno scrittore schiacciato dalla maschera del dissoluto che un mondo cieco ha preferito cucirgli addosso. Ed è la nostalgia di un impeto ardente a spingerlo a cercare la mano della Straniera (la morte, naturalmente), mentre una delle donne resta sospesa a un drappo rosso: nulla è più fragile di un’esistenza, sempre in bilico sul nulla e sul crepuscolo dei propri sogni. 

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