giovedì 22 ottobre 2015

Per voce sola, successo per “Letizia forever”


È dolce, timida, ha gli occhi vivi di una bambina mentre è seduta compunta come una scolaretta su una pedana di legno dove troneggia un mangianastri e sopra al suo capo ruota la classica sfera argentata delle discoteche. Si fa presto a dimenticare la sua poderosa barba e a considerarla più donna di qualsiasi altra donna. Che mistero volete che esista in una creatura così tranquilla? Più di quanto si possa immaginare, risponderebbe lei. Accolto calorosamente dal pubblico salernitano presso il Piccolo Teatro del Giullare, “Letizia forever”, scritto e diretto da Rosario Palazzolo, ha segnato la terza tappa di “Per voce sola”, la rassegna diretta da Vincenzo Albano. Salvatore Nocera lavora sapientemente su pochi, efficaci dettagli per tratteggiare il suo personaggio: l’ingenuità con cui racconta ciò che l’emoziona, lo sguardo ferito quando rivive il suo dramma (urla indistinte si odono all’inizio e alla fine della narrazione, perché evadere dal dolore è a volte impossibile), l’ironia tanto più acuta quanto più proviene da un’analfabeta a cui la vita ha fatto promesse non mantenute. Letizia è tenuta sotto controllo in quello che sembra un ospedale psichiatrico (abbiamo solo il suo punto di vista e tutto è estremamente ondivago) e poiché bisogna far luce su un delitto, è spinta a dar voce ai pensieri sulle note di canzoni “genere amore”, come lei le definisce. “La musica arragiona con l’icoscio” spiega, ma “l’icoscio” è furbo: non si fa smascherare con facilità. Sulle note di Pupo, Gianni Togni, Viola Valentino, sappiamo tutto di lei: il difficile rapporto con la madre, la fuga col futuro marito, la solitudine, la scoperta del tradimento e infine il coltello brandito. A questo punto, il buio: ha ucciso? È stata uccisa? Il figlioletto che viene a trovarla e la chiama ora mamma, ora papà è prova di una deriva psicologica? Letizia non sa e non vuole rispondere. Il fatto stesso che siano le note, spazio delle sensazioni e delle illusioni, a far emergere qualcosa di lei sull’onda di desideri frustrati mostra come la protagonista resti ai margini del cosiddetto raziocinio. Non esiste un’unica realtà. Le risposte non sono che dubbi fragili. E anche la sarcastica scelta metateatrale di immaginarsi dinanzi a un pubblico per comprendere ciò che sfugge alla comprensione, nonostante la prevalenza, ricorda, dei cretini (di qui la pedana da cui orchestrare la sua “pièce”) deride la catarsi da sempre attribuita al palco. Barba e ciabatte rosa non sono in contraddizione. Letizia è pirandellianamente se stessa, suo marito, la vita sognata nei “fabulosi anni 80”, la vittima e il colpevole. Inutile chiederle altro: è già tempo di ascoltare una nuova canzone.

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