venerdì 30 ottobre 2015

Il corpo abitato di Leonardo Capuano



Mica facile convivere con i propri fantasmi. Tra una gamba dissociata che si anima appena ode la musica (la più misteriosa delle arti, non a caso, come misterioso è il cervello umano), una donna da inseguire attorno a un tavolo per discutere del mascarpone e dell’infinito e familiari a dir poco ingombranti, non si può essere neppure folli in santa pace. E siamo poi cosi certi che esista una logica inoppugnabile? Presso il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno “Elettocardiodramma” di e con Leonardo Capuano ha concluso tra gli applausi  “Per voce sola”, la rassegna ideata e diretta da Vincenzo Albano. Il titolo rimanda a un curioso esame medico e all’adrenalina diffusa a piena mani dallo spettacolo. Nel consacrarsi interamente al suo personaggio, un balbuziente che indossa un vestito di donna senza sapere perché e sa cogliere quel che ad altri sfugge proprio per il suo essere ai margini di ciò che è “normale”, l’artista ne sottolinea con stupefacente energia la tenerezza, la curiosità, la vis comica, la capacità di spiazzare pubblico e ipotetici interlocutori con giochi di parole, questiti stranianti, ansia di gioco che è sempre tentativo di esorcizzare il dolore e la solitudine. Mentre sa contemplare se stesso nelle circostanze più anomale, l’uomo in scena accoglie in sé diversi personaggi: una madre che di materno ha ben poco ma in compenso non è affatto noiosa, tra una parabola appesa al collo per captare alieni e spiriti e l’augurio che i suoi rampolli trovino presto la pace eterna, fratelli che sono complici e antagonisti, che si tratti di provare a spararsi addosso o di cercare Satana in fondo al mare, una donna che incarna tutti i sogni più dolci. Seguendo Capuano in quelle che apparirebbero solo stravaganze, si coglie la lucidità tra le pieghe della pazzia. Inseguire in cerchio l’amata è l’essenza dell’amore, che è inesausta ricerca di quel che non si lascia raggiungere senza riuscire davvero a evadere dall’ossessione. La malattia della madre è specchio di un male più profondo, il veleno dell’incomunicabilità e della voglia di sopraffare. Lo stesso abito femminile allude alla necessità –frustrata- di comprendere ciò che è altro da sé e tutte le azioni restano come sospese perché non esiste alcuna certezza. Inutile chiedere al farmacista una pillola per l’equilibrio, magari somministrata di tanto in tanto. Non resta che osservare il volo delle donne fenicottero, rapide a sparire come la promessa della felicità.

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