mercoledì 14 giugno 2023

“La codista”, la feroce solitudine dei nostri tempi

 

Non si può certo sbagliare, quando la si vede ferma sotto la luce, sobria e discreta, mentre non perde d’occhio un invisibile monitor : è una delle innumerevoli figure che s’incontrano facilmente negli uffici pubblici. Eppure è nel quotidiano che si annida quell’inquietudine che scava le ossa. “La codista”, di e con Marleen Scholten, proposto al Teatro Ghirelli, è una notevole sfida per l’interprete e per la platea, che si misura con un personaggio quasi sempre immobile, spesso silenzioso, che punta sugli spettatori sguardi che assecondano l’attesa, la rendono concreta non meno della donna che parla. Quell’immobilità, che va sostenuta con caramelle, sigarette, banane e pazienza da vendere, ha però acquisito una riconoscibilità sociale, sancita addirittura dalla Treccani : colei che aspetta con stoica determinazione il turno è una codista, ovvero una persona che, a pagamento, si accolla le interminabili file per ottenere documenti necessari ai propri clienti. L’utilità di questa occupazione è più volte ribadita nel corso della messinscena : occorre organizzazione, cura, versatilità, attitudine a meritare la fiducia, senza trascurare la preziosa possibilità di rapportarsi con individui sempre diversi, ma la rabbia e la frustrazione esplodono, sia pur in pochi attimi. Come una superficie levigata in cui si aprono lentamente delle crepe, lo spettacolo rivela poco alla volta la sua affilata crudeltà. Nell’osservare i comportamenti altrui (l’insofferenza degli utenti, l’algida distanza degli addetti agli sportelli, la voce altissima della farmacista che non riesce a farsi comprendere dall’immigrata, la segretaria rassegnata alle minacce) e nelle considerazioni all’apparenza ovvie, la protagonista fa emergere l’incomunicabilità e la feroce solitudine che consumano, malgrado i tentativi di dissimularle. “Più il mondo va veloce, più io rallento”, afferma con orgoglio la donna, che vorrebbe contrapporre una visione equilibrata e solidale del tempo al dinamismo implacabile che pervade ogni attimo, ma l’attesa, scandita dai biglietti numerati, amplifica il senso di vuoto di chi, escluso dal lavoro, dalle relazioni, dalla comprensione, mastica il veleno delle occasioni perse, del cinismo imposto, dell’impossibilità di dare ai propri giorni un senso nuovo. Non ci si può aspettare nulla da una società in cui l’hastag tuseicarino è rivolto a chi non sputa addosso all’autista del tram che parte troppo presto. La codista cerca la pace nei versi recitati a occhi chiusi (perché il mondo non sa guardare, né ascoltare) di Rilke, di Donne, di Gualtieri, di Slauerhoff, in cui vibrano energia e desolazione, ma è solo un miraggio. Giunto il momento di accedere allo sportello, con una parrucca e scarpe nuove, impersona la cliente per cui sta svolgendo il proprio compito. Essere chiunque, pur di non pensare a un grigiore opprimente. Diventare altri, pur di nascondere le proprie ferite. Si può attendere davvero tutto, ma non la via d’uscita dalle trappole della mente.

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