mercoledì 14 giugno 2023

“Samusà”, un microcosmo chiamato luna park

 

Avrebbe dato chissà cosa per appartenere a una famiglia normale, dove si fanno i compiti in cucina e la madre lancia piatti contro il padre per la tresca con la segretaria. Le è toccato, invece, il destino di giostraia, ovvero di massima esperta di fauna umana. Virginia Raffaele si conferma artista carismatica e versatile in “Samusà”, lo spettacolo, diretto e interpretato da Federico Tiezzi, che ha aperto con successo la stagione di prosa del Teatro Verdi a Salerno. Autrice dei testi con Giovanni Todescan, Francesco Freyrie e Daniele Prato, la protagonista rivive, con ironia malinconica, la sua vita al Luneur, storico luna park romano creato dai suoi nonni, che diventa un autentico microcosmo in cui incontrare di tutto : l’irruente napoletano, il “nordista” pronto a impallinare gli immigrati, la coppia improbabile, la zingara tenace nel chiedere l’elemosina, i trans che sono di per sé un’attrazione, la stessa Meloni, l’un contro l’altro armati, fino a quando il pubblico stesso è invitato a zittire la babele nevrotica, perché il luna park  appartiene a tutti, senza discriminazioni o distinzioni. Se, però, un luogo raduna nei propri confini il mondo intero, non per questo è privo di un’identità, tanto che la Raffaele ricorre talvolta al  gergo dei dritti, cioè i giostrai, che è un vero mistero per i contrasti, ovvero tutti quelli che conducono un’esistenza ben diversa. I dritti sono tali non solo perché ne vedono di tutti i colori e dunque imparano a destreggiarsi tra le assurdità degli individui, ma perché sanno che essere riconoscibili non significa essere omologati a dispetto di tutti i pregiudizi possibili (la Raffaele invita a controllare il portafoglio perché, si sa, c’è da diffidare di gente come lei). Chi lavora nel campo all’evasione è, in effetti, percepito come marginale, ma proprio la libertà del gioco permette di vedere meglio le crepe del sistema. Romano, che non vuole il papa tra i giostrai, perché la Chiesa non li ha mai degnati di uno sguardo, pur essendo anch’essi bravi a fare miracoli, oppure Alfio che, tra i fumi dell’alcool, vede un pontefice che è un asso al tirassegno, dimostrando che chi è un poveraccio non è in ogni caso creduto o la complottista, che vede nel disastro ambientale una strategia per convogliare le famiglie a messa (niente alberi, niente mobili, niente ikea) esprimono, sia pur nel solco del grottesco, uno sguardo irriverente sulla realtà e sulla sua pretesa di avere un’unica risposta. Parafrasando Terenzio, niente di umano è estraneo allo spazio nudo in cui è presente una giostra estremamente stilizzata, mentre abili giocolieri intrattengono la sala durante il cambio d’abito dell’interprete : lo spettacolo non conosce sosta, è una dimensione che si reinventa anche nel rapporto con il tempo. Le performance di Giorgia Maura, la bambina rifiutata da tutti che non rinuncia al luna park, e di Donata Stirpe, l’anziana sola che non perde il proprio spirito, rallentano notevolmente il ritmo, ma trovano una ragion d’essere nell’impostazione della messinscena : i dimenticati, gli invisibili non hanno meno diritto degli altri di abitare un contesto in cui si danno appuntamento tutti gli sguardi e tutte le sensazioni. Tra un omaggio a Monica Vitti con “La canzone dei crauti”, balli e acrobazie, la Raffaele ripropone i suoi cavalli di battaglia : la Patty Pravo incartapecorita, la cantante lirica a disagio perché priva di libretto, l’impertinente Ornella Vanoni o la Carla Fracci che etichetta subito il suo lavoro come “zoppicante saggio di fine anno”. Non si tratta, tuttavia, di semplice scaltrezza : la scelta risulta coerente con la natura del luna park, in cui l’estro è di casa in ogni forma. Ecco dunque che il titolo, “Samusà”, che vuol dire taci nella lingua dei giostrai, è felicemente contraddetto. L’arte deve comunicare, coinvolgere, stupire, soprattutto quando non si sa e non si vuole ascoltare. 

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