lunedì 17 luglio 2023

Luca Saccoia, atto d’amore cum figuris

 

In un riquadro di luce, attraverso un fondale che diverrà casa, l’ombra di un uomo intona “Quanno nascette Ninno” mentre si prende cura del suo bambino, che si rivela un pupazzo, e le voci dell’abitazione s’insinuano come se provenissero da un misterioso altrove. È questo che si cerca nella notte santa, l’amore che porti pace sulla terra, ed è questo che viene crudelmente disatteso in “Natale in casa Cupiello”, riducendo la gioia all’inconsistenza dei sogni. Nello “Spettacolo per attore cum figuris” che Luca Saccoia, diretto da Lello Serao, ha portato in scena con grande successo al Teatro delle Arti, la versione del capolavoro eduardiano seduce i devoti del Maestro, offesi da allestimenti autoreferenziali che ostentano una visione autoriale forti della fama altrui, ma anche coloro che non amano Eduardo, spesso perché incapaci di distinguere arte e stereotipo. Partendo da un’idea dello stesso Saccoia e di Vincenzo Ambrosino, l’interprete, anche attraverso registrazioni della propria voce, interagisce con i pupazzi di Tiziano Fario, manovrati da Salvatore Bertone, Paola Maria Cacace, Lorenzo Ferrara, Oussama Lardjani, Angela Dionisia Severino, Irene Vecchia, quest’ultima coordinatrice e formatrice del gruppo. Nella veste di pupi, dunque, Concetta, Tommasino, Pasquale, Ninuccia diventano specchio e contraltare del presepe dinanzi al quale, in Luca, risultano indistinguibili la dimensione infantile e adulta : il candore fanciullesco e la difesa dell’armonia colgono, infatti, nelle statuine presepiali, il simbolo di un legame puro tra tutti gli esseri umani. È, tuttavia, possibile, cogliere altre sfumature in questa intuizione scenica : per ampia parte della vicenda, i familiari di Luca sono legati al proprio egoismo con l’immobile testardaggine di una marionetta, ma sono anche il suo punto di riferimento, ciò che è radicato nella sua vita con la stessa concretezza di un oggetto prezioso. Ogni dettaglio è omaggio e riflessione riguardo al celeberrimo testo. Il protagonista, che offre un’interpretazione appassionata e toccante nel dare anima a tutti i personaggi, resta, nel primo atto, nel letto come il pupo di Tommasino, ma impersona Luca, perché Eduardo è davvero il padre che continua a vivere nei corpi della drammaturgia contemporanea. Nel secondo atto, l’attore manovra i pupazzi per alludere al bisogno di Lucariello di essere, in qualche modo, il regista degli affetti familiari durante la cena di Natale. A circondare il letto del padre nel terzo atto, invece, sono, non a caso, figure in carne e ossa, mentre le marionette restano sedute in cima a strutture essenziali che ricordano una casa, perché il desiderio di attuare nella vita il clima di empatia attorno alla mangiatoia è fallito. Non mancano dettagli memorabili: quando chiede al fratello un parere sulla salute, la lingua e il polso di Pasquale si allungano a dismisura, perché si aspetta di essere comunque servito e riverito; lo scontro tra lui e Concetta ricorda, per un momento, le migliori sceneggiate napoletane e la celebre colonna sonora de “Il buono, il brutto e il cattivo”; Nicolino è l’unico tra i pupi ad avere una carnagione grigia, perché è questo il colore di chi vive a una dimensione e i piccoli volti stilizzati visibili tra le sagome delle figure del presepe alludono all’identità nascosta di chi crediamo di conoscere. Nella dolorosa conclusione, il corpo di Luca viene affidato a un angelo che lo conduce verso l’alto, perché l’innocenza è sacra. Saccoia canta nuovamente “Quanno nascette ninno”, ma i versi riguardano il peccatore disperato per non aver ricambiato l’amore di Cristo. Il sacrilegio è, quindi, essere ciechi a quello per cui vale la pena di vivere: scegliere, quindi, una vita da marionette.

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