venerdì 1 marzo 2013

Oriana secondo Monica


Il sipario si apre su di un operaio che si allontana. Nel vuoto perfetto della casa, teli rivestono come sudari due librerie, una scrivania, delle sedie. Un materasso arrotolato racconta una partenza definitiva. La plastica racchiude l'intero scenario, ma una donna si fa largo sullo sfondo, come una straniera tra ciò che le era fino a poco prima familiare. Mi chiedete di parlare, scritto, diretto e interpretato da Monica Guerritore, è essenzialmente questo: la persistenza della memoria dinanzi al tempo che fa a pezzi tutto e il diritto di appartenere solo a se stessi.
Nel rintracciare il volto di Oriana oltre “la Fallaci”, nome abbagliante che nasconde dolore, fragilità, inquietudine, la Guerritore segue la linea della compassione, nel significato originario di percepire sperimentare patire il vissuto di una donna che, in quanto tale, ha dovuto “combattere di più, vedere di più, sentire di più”. Nel rispondere a una voce fuori campo (Emilia Costantini), il ritratto emerge da aneddoti, ricordi, brani di libri come Lettera a un bambino mai nato e Niente e così sia e rimandi a Paul Valery. I video sullo sfondo sono eco di sogni e di incubi. Le vie sfavillanti di New York sono grottesco controcanto al filmato dell'11 settembre. Gli auguri di Marylin a John Kennedy rappresentano l'omaggio al potere che la protagonista ha sempre rifiutato. I pozzi petroliferi del Kuwait in fiamme, mentre si arrampica su una scala (vivere tutto dal di dentro, non conosce altra via) rimandano all'odio che divampa sempre allo stesso modo, con la stessa ferocia. La rabbia disperata contro il terrorismo islamico, che ricorda L'urlo di Munch, la schianta come se tutte le vittime si spegnessero in lei, la morte della madre è il lungo addio detto a se stessa, mentre su lei veglia l'amorosa Lucilla Mininno. Eppure, lontano da ogni retorica, c'è l'ostinazione del racconto, che sfugge alla “tirannia della realtà”: le parole scorrono come un fiume luminoso alle sue spalle. L'ultima immagine che si ha di lei è alla macchina da scrivere, poi solo poche battute di un dialogo con la voce fuori campo di Francois Pelou (Rachid Benhadj) Ciò che conta è attraversare il palcoscenico della vita e la morte è solo uno spreco.

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