mercoledì 3 aprile 2024

“Andromaca”, una parodia metateatrale

 

La sposa di Ettore potrebbe anche smetterla di affaticare le orecchie altrui con la stantia tiritera delle sue disgrazie. E che dire di quello “scornacchiato” di Menelao, che ha lasciato “l’armatura nel cellophane”, mentre i Greci trasformavano la nobile Troia in “una lettiera per gatti”? Se credete che nulla sia tanto importante da non poterne ridere, la compagnia I sacchi di sabbia fa al caso vostro. L’Andromaca di Euripide, proposta presso il Teatro Ghirelli, ha raccolto il favore del pubblico, colpito da una parodia metateatrale al servizio di attori rigorosamente consapevoli di quanto carisma richieda un divertissement. Nel testo euripideo, la protagonista si trova in una situazione a dir poco drammatica. Costretta a divenire la schiava di Neottolemo, il figlio di Achille recatosi a Delfi per scongiurare la vendetta del dio a seguito di un oltraggio, ha avuto da lui il figlio Molosso, scatenando la gelosia della legittima moglie Ermione sterile e tutt’altro che propensa all’idea che una schiava possa dominare il cuore del marito. Decide, dunque, di eliminarla con l’aiuto del padre Menelao e Andromaca, disperata, non si stacca dall’altare di Teti : è, infatti, un sacrilegio violare i supplici. Quando, però Menelao minaccia di morte Molosso, se la madre non si lascerà uccidere, la donna non può che cedere e solo l’intervento di Peleo e poi di Oreste potrà scongiurare il peggio. La messinscena, pur nella sua essenzialità, presenta una serie di sottigliezze. Mentre Gabriele Carli, Giovanni Guerrieri ed Enzo Iliano interpretano tutti i personaggi, spetta alla sola Giulia Gallo incarnare il coro con l’ironico pragmatismo di una massaia che la sa lunga: in effetti, nell’antica Grecia, l’elemento corale ha una sua stabilità, perché è lo sguardo della collettività sulla natura problematica degli avvenimenti. Che, quindi, sia proprio il coro a contribuire sistematicamente alla smitizzazione del testo rappresenta un capovolgimento quanto mai significativo. Lo smascheramento dei meccanismi teatrali (la forzatura di gesti e parole, il prolungare le pause, quasi a deridere la fissità che si attribuisce facilmente alla tragedia, le battute puntualmente presentate come tali) rende l’opera euripidea un pretesto di riflessione sull’assurdo dei comportamenti umani. Non compare l’altare di Teti, ma, provocatoriamente, una statuetta della Vergine : il carattere strumentale della religione, del resto, non è certo scomparso. Il pupazzetto che simboleggia Molosso è tormentato da una temibilissima caccola e usato per pulire i glutei: ogni nobile visione si ritrova calpestata, ma non è forse vero che gli esseri umani sono il giocattolo di forze oscure? Peleo apostrofa Menelao come nella più improbabile delle sceneggiate napoletane, senza lesinare parole a dir poco colorite. Eppure il senso dell’onore maschile, che si vede minacciato attraverso le disavventure della figura femminile, ancora ai nostri tempi, non è stato certo confinato definitivamente in soffitta. Quando l’ancella canta “Over the rainbow” nel momento in cui i personaggi, compresa lei stessa, si allontanano pacificati, il bersaglio è la facilità con cui ci si concentra sui propri egoismi. La morte di Neottolemo è narrata dal messaggero con il ritmo serrato di una cronaca sportiva, recuperando l’essenza del pensiero ellenico sulla fragilità che ci perseguita. Tutto questo, tra l’altro, non sarebbe mai successo, se una dea non avesse scatenato le invidie delle altre con una mela d’oro. “Gira e rigira, la colpa è sempre dei piani superiori”, dice la giovane e non si può che darle ragione.  L’Olimpo maligno della contemporaneità è molto più pericoloso di qualsiasi antica vendetta celeste. 

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