mercoledì 3 aprile 2024

“Play Viviani”, Tonino Taiuti nella splendida Babele di Napoli

 

Quando la voce del cinegiornale dice “Questo non è un addio. Viviani rimane con noi”, l’affermazione non potrebbe essere più vera: il mondo di questo artista ci è vicino più di quanto si creda nell’impetuosa energia come nella vertigine di morte. Applaudito calorosamente da una Sala Pasolini gremita, Tonino Taiuti in “Play Viviani” ha restituito forza e fascino ai testi dell’autore, orchestrati in una sorta di copione aperto, le cui componenti si armonizzano sulla base di analogie emotive. Sottolineando talvolta il groviglio di pensieri con i suoni all’apparenza disturbanti di una chitarra elettrica, così da suggerire i mille volti di una sensazione, l’interprete ricorre a pochi elementi evocativi: un coltello appeso (la violenza sempre incombente) e un campanello sospeso a un altro filo a indicare la “chiamata alle arti” dei circensi, ma anche l’urgenza di rispondere alle sollecitudini della vita. La testa del protagonista emerge poi da due piccoli teatrini per marionette, sormontati dalla scritta ex voto: un riferimento alle anime pezzentelle e un’ironica interpretazione del poeta vate, la cui parola guida a comprendere e a scegliere. Se il passato si annida nel presente per dargli un senso e per indurlo a nuove prospettive, risulta naturale iniziare con “Emigrante”, in cui il legame con la propria terra è ferita e consolazione. L’appello a svegliarsi dal sonno dell’acquiescenza e del servilismo è, allora, un richiamo a recuperare la propria umanità ben oltre le categorie in cui gli individui –costretti alla partenza o a restare- sono confinati e non si dà libertà senza armonia con il contesto. Ecco, dunque, il richiamo al mare di Mergellina, trasparente e inarginabile come i ragazzini di “Guaglione”, pronti a vivere con sfrontata impudenza il gioco e il superamento di ogni limite, finchè è un sillabario a regalare una diversa opportunità. La vita, tuttavia, non fa sconti, come ricorda la struggente “Fravacature” e la dura lotta alla miseria diventa, in “Si vide all’animale”, guerra assurdamente feroce di tutti contro tutti, dove il povero è sacrificabile in nome di un distorto concetto di civiltà. Da un conflitto, in effetti, non si guarisce mai del tutto e il soldato, che al ritorno scopre il tradimento della moglie, avverte il cupo riproporsi di un copione di sangue e la paura della donna ricorda “A primma pecurella”, straziante omicidio di una bestia “innocente come Cristo” che spingerà l’uomo a risparmiare l’infedele. Dove c’è sofferenza –e non potrebbe essere altrimenti- si avverte, però, il bisogno di rifugiarsi in un altrove dominato dalla leggerezza e nel microcosmo di Piedigrotta, tra tammorre, castagnelle, derisioni, corteggiamenti, improbabili profezie di fanciulle sonnambule, bambini con teste enormi e le intemperanze di un ubriaco in “Ommo e vino”, può accadere davvero di tutto, anche che ci sia spazio per una freddura di Campanile. In “Circo equestre Sgueglia” la vicenda di Samuele e Zenobia, entrambi abbandonati dai coniugi ed entrambi capaci di empatia, è narrata attraverso due marionette: sono, infatti, giocattoli della sorte, ma posseggono anche la purezza di ciò che potrebbe colpire un bambino nelle loro anime belle “inserrate”. Quello che non può restare chiuso a chiave è il desiderio, come dimostra la deliziosa “Ngiulina”, ma anche l’impulso di ricominciare: da qui l’esortazione al maltempo ad andare a giocare a mare, perché occorrono i denari. E poiché Napoli è prima di tutto uno stato d’animo, le parole di Moscato, tratte dal prologo di Mirabilia Circus, la descrivono come una bella Babele cangiante in cui le coordinate non valgono più (“chissà a quale part r’o mur amma piglià l’acqua ra morte”). L’esortazione a un equilibrio sempre più difficile da costruire si ha in “Pace e guerra” di Viviani e, nella conclusione, è a un cielo troppe volte sordo che si vuole liberare la tempesta dell’animo, quell’interiorità non addomesticabile che solo l’arte può ascoltare e  difendere.

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