giovedì 10 ottobre 2013

“Casa di bambola”, il dramma del possesso



“Che dolcezza vivere ed essere felici!”, ma il sorriso diventa una smorfia amara sulle sue labbra. La Nora di Ibsen è una delle figure più complesse della drammaturgia nella sua fragilità e la Compagnia dell’Eclissi offrirà un convincente allestimento di “Casa di bambola” il 12 e 13 ottobre presso il Teatro 99 Posti di Mercogliano. Col suo volto mobilissimo e la sua passione, Marianna Esposito è il vero fulcro della scena, la figura che fa emergere sensazioni e limiti di chi l’attornia anche quando è lontana. Il regista Uto Zhali opta per una leggibilità che non impoverisce il copione. Due immagini fotografiche appese alla parete alludono a ciò che si chiede a una donna in un asfittico contesto borghese. In una, un corpo femminile nudo si ripiega su se stesso senza che se ne possa scorgere il volto: la sensualità di chi è desiderata, ma non ha il diritto di desiderare. In un’altra, una signora che sembra uscita da una stampa dell’Ottocento spinge lontano lo sguardo: è evidente la compostezza e l’equilibrio della mater familias. L’arredamento ridotto all’essenziale (un tavolino, tre divani), rimanda alla provvisorietà della moglie di Torvald (un efficace Ernesto Fava, disposto a misurarsi con tutti i toni della crudeltà), pronta a improvvisare una performance a seconda dei desideri del marito, senza essere nulla per se stessa. Il furioso ondeggiare del suo corpo alla fine del primo atto che la lascia prostrata al suolo è metafora dell’oscillare tra forze contrastanti che la imprigionano. In questo dramma del possesso in cui bisogna avere per essere, la protagonista tenta di esorcizzare il suo destino di oggetto senz’anima rincorrendo la prosperità. Mentre Kristine (Viola Di Caprio) sa, per averlo sperimentato, che è assai facile essere in vendita, Nora si crede sostegno di un contesto familiare che la fagocita, divenendo vittima e carnefice delle proprie illusioni. I due ruoli si mescolano nel misurato Felice Avella, che incarna il destino sempre pronto a far saldare i conti in sospeso. Non a caso si giunge alla verità attraverso la menzogna (la donna ha falsificato la firma su di un’obbligazione) che è ben gradita alla borghesia, finchè non ne comprometta i piani. Da questo gioco di maschere si esce attraverso la morte fisica (un dolente Roberto Lombardi) o sociale (Nora abbandona tutto e tutti e si dirige verso la luce dorata sul fondo che è la vita vera ed è l’unica a imboccare quella via). Meglio essere privi di certezze che della propria identità.

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