Nicoletta Braschi in “Giorni felici” al Ghirelli di Salerno
Frasi vuote e gesti che ostentano normalità
sullo sfondo di un deserto. Un’immobilità fisica e psichica che non è poi così
diversa dallo strisciare senza avanzare di fatto di un millimetro. La vita
borghese è un inferno in cui non si sfugge a se stessi in “Giorni felici” di Samuel
Beckett, che Andrea Renzi dirigerà fino al 13 ottobre presso il Teatro Ghirelli
di Salerno. Affiancata da un intenso Roberto De Francesco che sa rendere
concreta l’oppressione della presenza come dell’assenza, Nicoletta Braschi gioca
la sua interpetazione sui toni carezzevoli e melensi della donna perfettamente
integrata in un contesto sociale mentre è sepolta fino alla vita tra i massi (ma
ciò che la imprigiona potrebbe far pensare alle fortificazioni di una trincea:
dopotutto quella che si combatte è una guerra contro la logica e l’equilibrio).
Il paravento che riproduce in modo stilizzato uno scenario perso tra sabbia e
nuvole, dietro cui il marito della protagonista si rintana muovendosi carponi, rispondendole
a monosillabi o con frasi lette da un giornale, contribuisce a rendere irreale un
contesto in cui un tempo pietrificato è scandito dal suono di una sveglia e
dagli sguardi di chi ha un disperato bisogno di riempire di parole il suo
nulla. La borsa da cui sono tratti spazzola, pettine, cappellino e tutto quel
che si addice a una figura rispettabile allude a una vita legittimata dal
possesso, ma avvelenata da una tendenza ad autodistruggersi, come mostra il
racconto della bimba che possiede una bellissima bambola ma è assalita da un
topo e la pistola che la
Braschi posiziona davanti a sè .Frammenti di versi, ricordi,
tendenza a concentrarsi su particolari all’apparenza irrilevanti come una
formica, che è, lei sì, viva, rinviano a uno spaesamento dell’anima,
all’impossibilità di riconoscersi e di rintracciare un significato nel
protrarsi delle ore. “E’ questo che trovo meraviglioso” ripete Winnie nel
tentativo di esorcizzare il malessere rincorrendo il miraggio della
felicità. Anche la coppia curiosa e
polemica che la donna ricorda non è che immagine della propria condizione di
solitudine e naufragio. Willie e Winnie, speculari nella loro deriva, non
possono che celebrare una sorta di rito di congedo quando quest’ultima, sepolta
fino al collo, lo vede avanzare verso di lei con un abito da cerimonia, mentre
lei intona “La vedova allegra”, come a voler ricordare, se è esisito, il
momento felice in cui un contatto umano poteva ancora contare qualcosa.
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