mercoledì 13 agosto 2025

“La vacca”, emarginazione e desiderio

 Cantare ostinatamente una filastrocca, cospargersi di sangue, mostrarsi più che allegra, perché, si sa, l’euforia gonfia il petto. È davvero una fatica farsi crescere il seno, ma è ancora più faticoso sopravvivere in quel deserto violento che è il mondo. Basato sul testo di Elvira Buonocore, mescolanza accorta di crudeltà e sarcasmo , “La vacca” di B. E.A.T Teatro, per la regia di Gennaro Maresca, ha concluso, tra gli applausi del Piccolo Teatro del Giullare di Salerno, la sezione GEOgrafie, dedicata alla produzione teatrale della Campania, nell’ambito di Mutaverso, il progetto a cura di Vincenzo Albano. Lo stesso Maresca è in scena nei panni di Elia, figura il cui carattere inquietante emerge con sapiente senso del ritmo narrativo, al fianco di Vito Amato, che costruisce con rara dedizione il personaggio di Mimmo, e di Anna De Stefano, indimenticabile nella multiformità espressiva della protagonista Donata. Quest’ultima, in effetti, sembra racchiudere in sé tutte le categorie possibili (folle? Disadattata? Bambina mai cresciuta? Vittima? Vera artefice della situazione di turno?) 

per poi farle a pezzi nel suo essere pura pulsione, energia dilagante, desiderio di aprirsi a qualcosa che non sia lo squallore quotidiano. Vederla ballare e muoversi sulle note di “So this is love” o “Vai” di Nino D’Angelo, come se non attendesse altro che l’attenzione altrui in una scenografia ridotta all’essenziale (una coperta dove si avvolge col fratello Mimmo, una scala a cui sono appesi indumenti poveri, un casco da lavorante) è un modo per sentirsi viva, per proiettare se stessa nel mondo in attesa di una risposta che manca o comunque non è quella che vorrebbe. La stessa Buonocore, del resto, nel colloquio post spettacolo con la giornalista Erminia Pellecchia, ricorda che il nome della giovane non è casuale: lei vorrebbe donarsi alla realtà, ma si dà per scontato che sia stata “concessa” secondo parametri maschili in una condizione non dissimile dalla vacca che, ingravidata secondo i piani dell’allevatore, è percepita come uno strumento e mai come un essere. Donata incarna una viva esuberanza infantile: quando, all’inizio della messinscena, chiude felice gli occhi, lo sgradevole rumore di fondo sparisce, per poi tornare quando si guarda attorno; nell’ammirare come un panorama favoloso quella che, con ogni probabilità, è una degradata periferia, ha la pretesa fanciullesca di rendere reale la propria volontà. Nel creare un beat sull’aridità della gente, sta guardando in faccia senza filtri l’ipocrisia e la povertà spirituale degli esseri umani, ma nella ricerca ossessiva di un’intervista, in cui sogna di dominare tutti, forte della propria bellezza (sapere di essere emarginata la induce alla rivalsa) non si limita a riflettere la fame di celebrità di questi tempi accartocciati:  è un corpo che vuole essere riconosciuto fino in fondo nella sua fertilità di sensazioni. Da qui la voglia di avere un prosperoso decolleté per uscire dall’invisibilità a cui la condanna lo stato di outsider. In lei si attuano tutti gli aspetti perturbanti del femminile: la sensualità, lo stregonesco, il sacro (la coperta che indossa a volte come una Madonna), l’impudente a cui si contrappone il fratello in un ambiguo apporto di padrone/amante/complice. “Il posto nostro non è niente di preciso- dice Mimmo –C’è stata una dimenticanza…Si sono dimenticati di farci succedere qualcosa”. Eppure non si è mai abbastanza lontani dal buio che abita le persone. Elia cerca con toni tra l’elegiaco e il tragicomico le cento vacche sparite in una notte e si presenta a più riprese ai due fratelli, per poi scoprire che sono stati proprio loro a macellarle clandestinamente. È significativo che l’insegna Mattatoio, nascosta per gioco da Donata, ricompaia proprio quando il mandriano le usa violenza per vendicarsi, trattandola, appunto come una vacca inerme. Poiché, inoltre, anche Elia si sente al centro di un’intervista, dato che è lo sguardo altrui a legittimare le vite, quando si allontana, lasciando la ragazza per terra come una bambola rotta, a disagio come chi è colto sul fatto, esorta coloro che lo osservano a essere brave persone. Il cuore buio degli individui spaventa più di qualsiasi desolazione. 

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