lunedì 30 giugno 2025

“Cose che so essere vere”, il vero volto di una famiglia

 


“Avrei voluto essere normale, qualunque cosa significhi” afferma uno dei protagonisti, ma la famiglia è esattamente il contrario di questa ambigua parola. Ritmo ineccepibile e intensa prova interpretativa hanno garantito, presso il Teatro Verdi di Salerno, un pieno successo a “Cose che so essere vere” di Andrew Bovell con Giuliana De Sio e Valerio Binasco nel duplice ruolo di attore e regista al fianco di Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Stefania Medri. Il testo, tradotto da Micol Jalla, rivela con nuda empatia il percorso tutt’altro che lineare che conduce genitori e figli a fare i conti (nonostante resistenze, caparbietà, rimozioni) con pulsioni, contraddizioni, conflitti che non possono essere indolori, perché ridefiniscono prospettive e priorità. La regia è estremamente attenta nel cogliere il duplice aspetto del nucleo familiare, cioè bisogno di stabilità e apertura alle sollecitazioni esterne, luogo di costruzione dell’identità, ma anche arena in cui quella stessa identità è messa alla prova, ostacolata, disconosciuta in un sofferto tentativo di affermarsi. Le scritte che indicano l’avvicendarsi delle stagioni e il nome dei personaggi evidenziano la profondità dei legami tra questi ultimi e il contesto d’origine: il tempo ritorna così come tutte le figure in scena non possono fare a meno di tornare alla casa che li ha visti crescere, di ritrovare lì ciò che li ha portati a essere chi sono o potrebbero essere. La pedana su cui sono collocati il tavolo, la cucina, alcune piante ruota nel momento in cui ci si ritrova, perché il movimento circolare, che è un ritornare su se stessi, ribadisce come il punto di partenza (nascere da una coppia) debba sempre ricongiungersi col punto di arrivo (l’età adulta). Il giardino stesso è chiara metafora della vita che cresce e si espande, ma è anche una sorta di hortus conclusus, un piccolo mondo geloso dei propri confini e quasi orgoglioso della propria riconoscibilità. È però significativo che i giovani rivelino fino in fondo ciò che provano puntando i loro occhi sul pubblico, quando i genitori non sono fisicamente presenti: la consapevolezza, infatti, è un cammino solitario. Per quanto gli altri facciano emergere aspetti che non credevamo di possedere, comprendersi o ammettere tutte le difficoltà nel farlo sono momenti che allontanano dalle relazioni consuete, confinandoci nello scomodo istante in cui non si può tornare indietro. Quando, inoltre, madre e padre pensano ai propri figli, questi danno voce ai loro pensieri in scena pur essendo assenti, perché generare qualcuno ha tutta l’ineluttabilità di quello che non si può cancellare malgrado ogni distanza. L’azione si svolge in Australia e inizia con un telefono che squilla nel cuore della notte: incubo di chiunque abbia i propri cari lontano. Prende il via una gigantesca analessi. Bob e Fran (Binasco e De Sio, appunto), che hanno riposto ogni speranza nei quattro figli, sembrano i coniugi più ordinari del mondo, ma molto si annida sotto la superficie. Fran fa l’infermiera da trentacinque anni: sarà per questo che è impossibile mentirle. È talmente attenta a quel che celano i volti dei giovani che intuisce subito ciò che non vogliono ammettere. Capisce, dunque, che Rosie, tornata da un viaggio in Europa, ha il cuore spezzato per via di una giovane che l’ha illusa o che dietro la volontà di Pip di lasciare il marito Steve si cela un amante. Come spesso accade, però, a chi è dedito ai propri familiari, non coglie ciò che andrebbe colto o meglio lo sottovaluta. Non vuole, quindi, prendere atto del bisogno di Rosie di essere finalmente se stessa, dell’amarezza di Pip che si è sempre sentita schiacciata da una severità eccessiva, dell’infantilismo di Ben, del disagio di Mark. Né l’affettuosa e fragile presenza paterna risulta di conforto in situazioni molto complicate. A poco a poco, tuttavia, le maschere crollano. Fran ha amato un altro riservandosi una via di fuga dal matrimonio; Pip scopre in se stessa verso le figlie lo stesso sguardo critico che la madre ha posato su di lei; Mark scatena le ire di Fran decidendo di cambiare sesso (si chiamerà non a caso Mia, riappropriandosi di sé), Ben è un cocainomane schiacciato dal bisogno di competere con i ricchi, anche a costo di rubare e ciò scatena la rabbia di Bob, che ha generato l’ultima figlia nella speranza di sanare l’infelicità della moglie,  Rosie sceglierà la scrittura creativa, perché vivere significa innanzitutto raccontare e raccontarsi. La morte della madre (a quello si riferisce lo squillo iniziale) spingerà i componenti della famiglia a ritrovarsi e forse a concedersi un’altra possibilità. È significativo che, poco prima di morire, Fran, ormai sola con Bob, voglia finalmente lasciare il giardino a se stesso, accogliendo ciò che produrrà. La vita è anche questo: attendere che qualcosa fiorisca, anche quando tutto sembra inaridito.  

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