“Avrei
voluto essere normale, qualunque cosa significhi” afferma uno dei protagonisti,
ma la famiglia è esattamente il contrario di questa ambigua parola. Ritmo
ineccepibile e intensa prova interpretativa hanno garantito, presso il Teatro
Verdi di Salerno, un pieno successo a “Cose che so essere vere” di Andrew
Bovell con Giuliana De Sio e Valerio Binasco nel duplice ruolo di attore e
regista al fianco di Fabrizio
Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Stefania Medri. Il testo, tradotto
da Micol Jalla, rivela con nuda empatia il percorso tutt’altro che lineare che
conduce genitori e figli a fare i conti (nonostante resistenze, caparbietà,
rimozioni) con pulsioni, contraddizioni, conflitti che non possono essere
indolori, perché ridefiniscono prospettive e priorità. La regia è estremamente
attenta nel cogliere il duplice aspetto del nucleo familiare, cioè bisogno di
stabilità e apertura alle sollecitazioni esterne, luogo di costruzione dell’identità,
ma anche arena in cui quella stessa identità è messa alla prova, ostacolata,
disconosciuta in un sofferto tentativo di affermarsi. Le scritte che indicano
l’avvicendarsi delle stagioni e il nome dei personaggi evidenziano la
profondità dei legami tra questi ultimi e il contesto d’origine: il tempo ritorna
così come tutte le figure in scena non possono fare a meno di tornare alla casa
che li ha visti crescere, di ritrovare lì ciò che li ha portati a essere chi
sono o potrebbero essere. La pedana su cui sono collocati il tavolo, la cucina,
alcune piante ruota nel momento in cui ci si ritrova, perché il movimento
circolare, che è un ritornare su se stessi, ribadisce come il punto di partenza
(nascere da una coppia) debba sempre ricongiungersi col punto di arrivo (l’età
adulta). Il giardino stesso è chiara metafora della vita che cresce e si
espande, ma è anche una sorta di hortus conclusus, un piccolo mondo geloso dei
propri confini e quasi orgoglioso della propria riconoscibilità. È però
significativo che i giovani rivelino fino in fondo ciò che provano puntando i
loro occhi sul pubblico, quando i genitori non sono fisicamente presenti: la
consapevolezza, infatti, è un cammino solitario. Per quanto gli altri facciano
emergere aspetti che non credevamo di possedere, comprendersi o ammettere tutte
le difficoltà nel farlo sono momenti che allontanano dalle relazioni consuete,
confinandoci nello scomodo istante in cui non si può tornare indietro. Quando,
inoltre, madre e padre pensano ai propri figli, questi danno voce ai loro
pensieri in scena pur essendo assenti, perché generare qualcuno ha tutta
l’ineluttabilità di quello che non si può cancellare malgrado ogni distanza. L’azione
si svolge in Australia e inizia con un telefono che squilla nel cuore della
notte: incubo di chiunque abbia i propri cari lontano. Prende il via una
gigantesca analessi. Bob e Fran (Binasco e De Sio, appunto), che hanno riposto
ogni speranza nei quattro figli, sembrano i coniugi più ordinari del mondo, ma
molto si annida sotto la superficie. Fran fa l’infermiera da trentacinque anni:
sarà per questo che è impossibile mentirle. È talmente attenta a quel che
celano i volti dei giovani che intuisce subito ciò che non vogliono ammettere.
Capisce, dunque, che Rosie, tornata da un viaggio in Europa, ha il cuore
spezzato per via di una giovane che l’ha illusa o che dietro la volontà di Pip
di lasciare il marito Steve si cela un amante. Come spesso accade, però, a chi
è dedito ai propri familiari, non coglie ciò che andrebbe colto o meglio lo
sottovaluta. Non vuole, quindi, prendere atto del bisogno di Rosie di essere
finalmente se stessa, dell’amarezza di Pip che si è sempre sentita schiacciata
da una severità eccessiva, dell’infantilismo di Ben, del disagio di Mark. Né
l’affettuosa e fragile presenza paterna risulta di conforto in situazioni molto
complicate. A poco a poco, tuttavia, le maschere crollano. Fran ha amato un
altro riservandosi una via di fuga dal matrimonio; Pip scopre in se stessa
verso le figlie lo stesso sguardo critico che la madre ha posato su di lei;
Mark scatena le ire di Fran decidendo di cambiare sesso (si chiamerà non a caso
Mia, riappropriandosi di sé), Ben è un cocainomane schiacciato dal bisogno di
competere con i ricchi, anche a costo di rubare e ciò scatena la rabbia di Bob,
che ha generato l’ultima figlia nella speranza di sanare l’infelicità della
moglie, Rosie sceglierà la scrittura
creativa, perché vivere significa innanzitutto raccontare e raccontarsi. La
morte della madre (a quello si riferisce lo squillo iniziale) spingerà i
componenti della famiglia a ritrovarsi e forse a concedersi un’altra
possibilità. È significativo che, poco prima di morire, Fran, ormai sola con
Bob, voglia finalmente lasciare il giardino a se stesso, accogliendo ciò che
produrrà. La vita è anche questo: attendere che qualcosa fiorisca, anche quando
tutto sembra inaridito.
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