mercoledì 25 giugno 2025

“Stupidorisiko”, la pericolosità dell’homo bellicus

 


“Niente è impossibile per l’homo bellicus”, dato che “c’è sempre la parola pace, quando c’è da scatenare una guerra”. Spettacolo promosso da Emergency per le scuole, ma capace di sedurre anche un pubblico adulto, “Stupidorisiko”, per la drammaturgia e regia di Patrizia Pasqui, vede all’opera un Francesco Grossi energico e ammaliante, che ha conquistato gli spettatori del Teatro Ghirelli. L’interprete è di volta in volta un sergente dal profondo senso dell’uguaglianza nei confronti delle truppe (“qui non conta un cazzo nessuno”), un marine toscano che trova “ganzo” il proprio ruolo, smascherandone l’assurdità con ironico candore, un soldato del 1915 in una trincea in cui “neanche le bestie ci starebbero”, la guida di una scolaresca a Mauthausen, dove “anche gli uccelli giravano al largo: sapevano che qui c’era la morte”, un narratore che si muove agilmente tra i conflitti che hanno strangolato il pianeta fin dallo sparo di Gavrilo Princip. Incarnare la narrazione e osservarla dall’esterno sono scelte che si alternano di continuo per scarnificare con maggiore efficacia la retorica militare, che , attraverso la propaganda, dissocia corpo e azione e impone la sola prospettiva utile al carnefice di turno. Nella performance di Grossi, al contrario, le parole assumono il peso e la sostanza dell’affanno, della dissoluzione, dell’urgenza di vivere nonostante piovano bombe in ogni dove e sarcasmo, denuncia, dolore, liberatoria irrisione del potere sono orchestrate con appassionata dedizione. Quattordicimilaseicento guerre, quattrocentoventi morti al giorno nella sola Italia durante la Prima Guerra Mondiale e cinquantacinque milioni di morti dopo la Seconda  avrebbero dovuto insegnare qualcosa. Trasformare i Paesi in ossari è davvero il giusto prezzo da pagare alla stupidità e megalomania umana? Evidentemente sì, risponderebbero gli inventori della guerra umanitaria, dove “per salvare i civili  si uccidono altri civili”. Che si tratti di Guernica o delle guerre in Congo per il Coltan, dell’ipocrita lotta a Saddam Hussein , il miglior cliente dei venditori di armi occidentali, o dello scempio in Afghanistan, il copione si ripete con ottusa tenacia: la popolazione è sacrificata a interessi considerati improcrastinabili. Non a caso, il bisnonno del marine, che ritroviamo su diversi fronti, crede che la sua sia l’ultima guerra: un’illusione che va in pezzi come le città bombardate. Ecco perché Grossi afferma “Io ero un congolano, un eritreo, un sudamericano”: nessun luogo è troppo distante, quando esiste un assassino vestito da soldato. I guerrafondai, come se non bastasse, non tollerano di essere contraddetti: basterebbe pensare a Stanislav Petrov, costretto alle dimissioni per aver scongiurato, nel 1983, il terzo conflitto mondiale, quando capì che il computer che stava controllando aveva lanciato il falso allarme di un attacco americano. Eppure rassegnarsi non è un’ipotesi da contemplare: di qui l’esortazione a sostenere Emergency nell’ennesimo tentativo di far cessare il fuoco. Lo stupido Risiko fa sempre in tempo a ricomporre i propri pezzi, ma far saltare il tavolo è compito che spetta a ognuno di noi.

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