“Niente è impossibile per l’homo bellicus”, dato che “c’è
sempre la parola pace, quando c’è da scatenare una guerra”. Spettacolo promosso
da Emergency per le scuole, ma capace di sedurre anche un pubblico adulto,
“Stupidorisiko”, per la drammaturgia e regia di Patrizia Pasqui, vede all’opera
un Francesco Grossi energico e ammaliante, che ha conquistato gli spettatori
del Teatro Ghirelli. L’interprete è di volta in volta un sergente dal profondo
senso dell’uguaglianza nei confronti delle truppe (“qui non conta un cazzo
nessuno”), un marine toscano che trova “ganzo” il proprio ruolo, smascherandone
l’assurdità con ironico candore, un soldato del 1915 in una trincea in cui
“neanche le bestie ci starebbero”, la guida di una scolaresca a Mauthausen,
dove “anche gli uccelli giravano al largo: sapevano che qui c’era la morte”, un
narratore che si muove agilmente tra i conflitti che hanno strangolato il
pianeta fin dallo sparo di Gavrilo Princip. Incarnare la narrazione e
osservarla dall’esterno sono scelte che si alternano di continuo per
scarnificare con maggiore efficacia la retorica militare, che , attraverso la
propaganda, dissocia corpo e azione e impone la sola prospettiva utile al
carnefice di turno. Nella performance di Grossi, al contrario, le parole
assumono il peso e la sostanza dell’affanno, della dissoluzione, dell’urgenza
di vivere nonostante piovano bombe in ogni dove e sarcasmo, denuncia, dolore,
liberatoria irrisione del potere sono orchestrate con appassionata dedizione.
Quattordicimilaseicento guerre, quattrocentoventi morti al giorno nella sola
Italia durante la Prima Guerra Mondiale e cinquantacinque milioni di morti dopo
la Seconda avrebbero dovuto insegnare
qualcosa. Trasformare i Paesi in ossari è davvero il giusto prezzo da pagare
alla stupidità e megalomania umana? Evidentemente sì, risponderebbero gli
inventori della guerra umanitaria, dove “per salvare i civili si uccidono altri civili”. Che si tratti di
Guernica o delle guerre in Congo per il Coltan, dell’ipocrita lotta a Saddam
Hussein , il miglior cliente dei venditori di armi occidentali, o dello scempio
in Afghanistan, il copione si ripete con ottusa tenacia: la popolazione è
sacrificata a interessi considerati improcrastinabili. Non a caso, il bisnonno
del marine, che ritroviamo su diversi fronti, crede che la sua sia l’ultima
guerra: un’illusione che va in pezzi come le città bombardate. Ecco perché
Grossi afferma “Io ero un congolano, un eritreo, un sudamericano”: nessun luogo
è troppo distante, quando esiste un assassino vestito da soldato. I
guerrafondai, come se non bastasse, non tollerano di essere contraddetti:
basterebbe pensare a Stanislav Petrov, costretto alle dimissioni per aver
scongiurato, nel 1983, il terzo conflitto mondiale, quando capì che il computer
che stava controllando aveva lanciato il falso allarme di un attacco americano.
Eppure rassegnarsi non è un’ipotesi da contemplare: di qui l’esortazione a
sostenere Emergency nell’ennesimo tentativo di far cessare il fuoco. Lo stupido
Risiko fa sempre in tempo a ricomporre i propri pezzi, ma far saltare il tavolo
è compito che spetta a ognuno di noi.
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